03.09.2008

SPECIALE BERTONE - Lilli risponde: ”Non venderò mai ai cinesi!”

«Non voglio vendere ai cinesi. Non capisco perché dovrei farlo e non capisco perché i dipendenti siano convinti che sia l´unico modo per salvare i posti di lavoro. Cosa volete che facciano i cinesi: si prendono il marchio, vendono gli immobili e poi vanno a produrre dalle parti loro». Mai e poi mai.

Lilli Bertone, vedova di Nuccio, azionista di maggioranza della holding che controlla la storica Carrozzeria di Grugliasco, non ha intenzione di cedere nulla alle due società asiatiche che hanno bussato alle porte dei tre commissari nominati dal governo per individuare una soluzione per la Bertone. E risponde picche anche alla lettera che un gruppo di dipendenti della storica carrozzeria le ha spedito chiedendo di cedere anche marchio e terreni per consentire a una delle trattative di andare in porto e di salvare l´azienda.

Signora Bertone, perché non vuole lasciare marchio e immobili?
«Perché non è necessario vendere ai cinesi per andare avanti. Quando sono arrivati i commissari ho presentato un piano che è stato valutato in maniera positiva, ad iniziare dall´ingegner Bene, ma poi Bene ha lasciato, è arrivato il dottor Perlo ed è iniziato tutto da capo. Non riesco a capire perché mi leghino le mani e non mi lascino andare avanti».

Non le sembra che il tempo sia scaduto?
«Cosa intende?».

È da tre anni che sta cercando una soluzione per rimettere in moto la Carrozzeria. Non è il momento di lasciare ad altri e farsi da parte?
«Mi sono sempre battuta per far andare avanti l´azienda. Non ho mai usato i soldi lasciati da mio marito per altro e di soldi, gran parte personali, ne ho messi tanti. E dentro la famiglia e tra i soci della Bertone sono l´unica che vuole mantenere la tradizione. Il piano c´è».

Ci sono anche le risorse finanziarie?
«Sì. C´è un fondo che è disposto a sostenerci fin da domani mattina. Basta che mi diano la possibilità di andare avanti». < !-- OAS AD 'Middle' - gestione 180x150 square inside -->

E cosa prevede il suo piano a livello industriale?
«Ho a disposizione una piattaforma per produzioni in proprio e conto terzi. Ci sono anche proposte di fornitura in ballo e potrei occupare fin da subito un bel numero di lavoratori. Ma non posso dire di più».

Nella lettera però i lavoratori, pur riconoscendo i suoi meriti, le chiedono di farsi da parte, di non ostacolare la salvezza della Bertone. Cosa risponde?

«Che non si devono far illudere dai cinesi. Che io in tutti questi anni ho lottato per salvare non solo la fabbrica ma anche i loro posti di lavoro».

Va bene, ma ormai mancano poco più di tre mesi al punto di non ritorno. Vuole arrivare fino in fondo?
«Voglio che mi sia data la possibilità di portare avanti il piano. Non ho fatto nemmeno le ferie per seguire la situazione».

Avete convocato un consiglio di amministrazione a luglio rimasto poi aperto?
«No, nessun consiglio aperto. Con la famiglia Gracco sto solo discutendo la loro uscita dalla società. Nulla di più. È da anni che vogliono mollare. Ora stiamo trattando la liquidazione. Ma sa. Quando si mettono poi di mezzo i legali: gli avvocati tentano sempre di alzare il prezzo».

Ha ricucito con le sue due figlie, Barbara e Marie Janne?
«No, ci mancherebbe. Loro vogliono vendere ai cinesi. Tutte e due. Io non ci sto. Se vogliono essere liquidate e uscire dalla società anche loro per me va bene. Sono sempre le mie figlie».

Al suo fianco c´è ancora Reviglio come socio?
«No. Il rapporto con Reviglio si è risolto in un nulla di fatto. Ad un certo punto mi aveva detto che non aveva più i soldi per portare avanti il piano. Mi ha detto: "signora è stato un piacere conoscerla" e mi ha salutato».

Alla luce di quello che è successo considera ancora Reviglio una persona affidabile?
«Sì, perché no? È un imprenditore che ha cercato di portare avanti un progetto ma non ha trovato i soldi per farlo».

Nemmeno le vicende giudiziarie, l´intervento della magistratura, le intercettazioni, comprese quelle del suo consulente personale Truglia, l´arrivo dei commissari l´hanno convinta a mollare?
«Siamo finiti nell´occhio del ciclone, ma mi sembra che anche i giudici hanno poi considerato che tutto ciò che è stato fatto è stato fatto in buona fede».

Non sarebbe stato meglio vendere tutto a Rossignolo?
«Ma non scherzi. Quella sarebbe stata una sciagura. Se avessi saputo fin dall´inizio che dietro quel piano c´era Rossignolo non mi sarei nemmeno mossa. Invece l´ho scoperto quando sono andata a Roma. Voleva fare le Porsche Cayenne con un marchio sconosciuto e venderle a 10 mila euro in più. Bisogna essere pazzi».

Lilli

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