11.09.2008
Il ricatto della Thyssen: ”O la mobilità o la causa”
I sindacalisti più cauti parlano di
«mancanza di coraggio». Quelli più assertivi di «scivolata di stile». I
più agguerriti usano un unico termine. Secco e senza possibilità di
equivoco: «Ricatto».
Il dato di fatto è che dopo sette operai morti,
un’inchiesta lampo della procura, i vertici della Thyssenkrupp -
l’acciaieria che il 6 dicembre scorso si trasformò in un inferno -
sembrano ignorare i diritti dei lavoratori e vanno dritti per la loro
strada. Per avviare la pratica di mobilità per i 60 dipendenti, ancora
senza un’occupazione, hanno infatti imposto un aut-aut: la rinuncia a
costituirsi parte civile nel processo per il rogo del 6 dicembre e
quella di rivalersi legalmente per eventuali malattie professionali.
Univoca la risposta di Fiom-Fim-Uilm: «No». «Non possiamo accettare queste condizioni - afferma Ciro Argentino, delegato Rsu Fiom - sono un ricatto vero e proprio. Se firmassimo tradiremmo la memoria dei nostri sette colleghi morti, oltre a precludere ogni eventualità di risarcimento per malattie legate alla fabbrica». Alla vigilia del film di denuncia di Mimmo Calopresti, «La fabbrica dei tedeschi», il problema sicurezza alla Thyssen continua a essere un’emergenza.
Fallita la mediazione dell’altro ieri, negli uffici regionali dell’assessorato al Lavoro, è stata fissata un’altra riunione per il 22 settembre. Ma il fronte sindacale resta compatto sull’impossibilità di cedere a una simile richiesta. La polemica era già esplosa in marzo quando (durante la mobilità per altri 100 dipendenti) i sindacati si accorsero delle clausole del «verbale di conciliazione». Il quale, per garantire la buonuscita, imponeva «a stralcio di ogni e qualsiasi pretesa e/o diritto di ordine sia retributivo, sia normativo sia risarcitorio…, la rinuncia a risarcimenti per danni presenti e futuri ex articolo…2043, 2059, 2087… del codice civile». I tre articoli del codice citati sono quelli del danno ingiusto, del danno morale (che si può chiedere solo in caso di reato commesso dall’azienda) e della messa a repentaglio dell’integrità fisica dei lavoratori.
Guarda caso si tratta proprio delle ipotesi di reato previste nella richiesta di rinvio a giudizio dei vertici Thyssen, firmata dal procuratore vicario Raffaele Guariniello. I sindacati già cinque mesi fa contestarono pubblicamente il documento, mentre l’azienda si difese sostenendo che il modulo «è identico da anni» e che le clausole oggetto della polemica «sono da tempo riportate nei verbali di conciliazione sindacale». Ora però, come non bastasse, alla questione buonuscita si aggiunge l’ipotesi di messa in mobilità dei 60 dipendenti (40 operai e 20 impiegati) ancora alla ricerca di una nuova collocazione.
«Il direttore del personale Arturo Ferrucci - incalza Ciro Argentino - è stato perentorio: o accettiamo quel verbale da noi disconosciuto, oppure niente mobilità, che per i lavoratori rappresenta l’opportunità di trovare più facilmente un posto di lavoro perché più conveniente per la nuova azienda che assume». Fabio Carletti della Fiom aggiunge: «Già in luglio, all’Unione industriale, ci siamo rifiutati di firmare l’accordo sulla mobilità perché la Thyssen voleva inserire nel testo che il verbale di rescissione del rapporto di lavoro sarebbe stato “quello in uso” e cioè quello che noi contestiamo. L’altro ieri c’è stato l’incontro in Regione, ma la Thyssenkrupp ci ha riprovato e con atteggiamento arrogante ha ribadito di volere quella dizione e con una scivolata di stile ha anche minacciato: ”O si trova l’intesa o ritiriamo la procedura di mobilità”». Sulla stessa lunghezza d’onda è Claudio Chiarle, Fim: «La Thyssen deve uscire da una posizione che ritiene essere di sostanza, ma che in realtà è di forma. Noi vogliamo tutelare i lavoratori che ancora ci sono; molti hanno la possibilità di avere un nuovo posto di lavoro e hanno bisogno della mobilità. L’azienda abbia coraggio: tolga, come noi chiediamo, quella frase».
Il direttore del personale, Arturo Ferrucci, ieri da noi ripetutamente sollecitato a intervenire sul problema, non ha risposto. I sindacati non sembrano, comunque, disposti a cedere. «Io ho addirittura presentato un esposto alla procura - sottolinea ancora Argentino - per segnalare la “falsità” del verbale di conciliazione in discussione. Anche perché soltanto dei folli avrebbero potuto accettare quelle condizioni: se fosse vero significherebbe che la Thyssen ha sempre saputo di far lavorare i dipendenti in condizioni limite e ha messo in conto azioni penali. Chiediamo solo il rispetto. Di chi è morto arso vivo e di chi è in cassa integrazione senza prospettive sicure».
Univoca la risposta di Fiom-Fim-Uilm: «No». «Non possiamo accettare queste condizioni - afferma Ciro Argentino, delegato Rsu Fiom - sono un ricatto vero e proprio. Se firmassimo tradiremmo la memoria dei nostri sette colleghi morti, oltre a precludere ogni eventualità di risarcimento per malattie legate alla fabbrica». Alla vigilia del film di denuncia di Mimmo Calopresti, «La fabbrica dei tedeschi», il problema sicurezza alla Thyssen continua a essere un’emergenza.
Fallita la mediazione dell’altro ieri, negli uffici regionali dell’assessorato al Lavoro, è stata fissata un’altra riunione per il 22 settembre. Ma il fronte sindacale resta compatto sull’impossibilità di cedere a una simile richiesta. La polemica era già esplosa in marzo quando (durante la mobilità per altri 100 dipendenti) i sindacati si accorsero delle clausole del «verbale di conciliazione». Il quale, per garantire la buonuscita, imponeva «a stralcio di ogni e qualsiasi pretesa e/o diritto di ordine sia retributivo, sia normativo sia risarcitorio…, la rinuncia a risarcimenti per danni presenti e futuri ex articolo…2043, 2059, 2087… del codice civile». I tre articoli del codice citati sono quelli del danno ingiusto, del danno morale (che si può chiedere solo in caso di reato commesso dall’azienda) e della messa a repentaglio dell’integrità fisica dei lavoratori.
Guarda caso si tratta proprio delle ipotesi di reato previste nella richiesta di rinvio a giudizio dei vertici Thyssen, firmata dal procuratore vicario Raffaele Guariniello. I sindacati già cinque mesi fa contestarono pubblicamente il documento, mentre l’azienda si difese sostenendo che il modulo «è identico da anni» e che le clausole oggetto della polemica «sono da tempo riportate nei verbali di conciliazione sindacale». Ora però, come non bastasse, alla questione buonuscita si aggiunge l’ipotesi di messa in mobilità dei 60 dipendenti (40 operai e 20 impiegati) ancora alla ricerca di una nuova collocazione.
«Il direttore del personale Arturo Ferrucci - incalza Ciro Argentino - è stato perentorio: o accettiamo quel verbale da noi disconosciuto, oppure niente mobilità, che per i lavoratori rappresenta l’opportunità di trovare più facilmente un posto di lavoro perché più conveniente per la nuova azienda che assume». Fabio Carletti della Fiom aggiunge: «Già in luglio, all’Unione industriale, ci siamo rifiutati di firmare l’accordo sulla mobilità perché la Thyssen voleva inserire nel testo che il verbale di rescissione del rapporto di lavoro sarebbe stato “quello in uso” e cioè quello che noi contestiamo. L’altro ieri c’è stato l’incontro in Regione, ma la Thyssenkrupp ci ha riprovato e con atteggiamento arrogante ha ribadito di volere quella dizione e con una scivolata di stile ha anche minacciato: ”O si trova l’intesa o ritiriamo la procedura di mobilità”». Sulla stessa lunghezza d’onda è Claudio Chiarle, Fim: «La Thyssen deve uscire da una posizione che ritiene essere di sostanza, ma che in realtà è di forma. Noi vogliamo tutelare i lavoratori che ancora ci sono; molti hanno la possibilità di avere un nuovo posto di lavoro e hanno bisogno della mobilità. L’azienda abbia coraggio: tolga, come noi chiediamo, quella frase».
Il direttore del personale, Arturo Ferrucci, ieri da noi ripetutamente sollecitato a intervenire sul problema, non ha risposto. I sindacati non sembrano, comunque, disposti a cedere. «Io ho addirittura presentato un esposto alla procura - sottolinea ancora Argentino - per segnalare la “falsità” del verbale di conciliazione in discussione. Anche perché soltanto dei folli avrebbero potuto accettare quelle condizioni: se fosse vero significherebbe che la Thyssen ha sempre saputo di far lavorare i dipendenti in condizioni limite e ha messo in conto azioni penali. Chiediamo solo il rispetto. Di chi è morto arso vivo e di chi è in cassa integrazione senza prospettive sicure».
«ILa Thyssenkrupp continua ad avere
un comportamento aggressivo verso i lavoratori che, per la prima
volta in Italia, si sono costituiti parte civile collettivamente
nel processo contro l'azienda. Non bisogna cedere. Spero che
anche gli enti locali mantengano la costituzione parte civile» ha dichiarato il segretario generale della Fiom torinese,
Giorgio Airaudo, il quale ricorda che il 6 ottobre ci sarà
l'udienza per il rogo dell'acciaieria, in cui hanno perso la
vita tra le fiamme sette operai.
L'azienda, che già nei mesi scorsi aveva chiesto ai
lavoratori di firmare un verbale con il quale rinunciavano a
costituirsi parte civile in cambio di una buonuscita, ha
ribadito la sua richiesta in occasione dell'incontro sulla
procedura di mobilità. «La liberatoria non è indispensabile
per applicare gli accordi, non ci sono precedenti. Il
comportamento della Thyssenkrupp richiama l'esigenza di non
lasciare soli i lavoratori», aggiunge Airaudo.
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