23.11.2008
CRISI - Nuove produzioni per la ripartenza
Nella crisi che ormai è
recessione, Torino accende le luci rosse di allarme per segnalare un
problema che non è circoscritto alla sua area. E' il sistema
industriale italiano nel suo complesso che è a rischio
collasso e in questo senso la differenza sta nel fatto che, per via
della forte concentrazione di produzioni automobilistiche, nella
città della Fiat il fenomeno si avverte di più ed è
stato già denunciato in maniera più esplicita che
altrove. Con 27 mila su 55 mila lavoratori metalmeccanici in cassa
integrazione la recessione non è una previsione ma una
drammatica realtà con la quale fare i conti. Quando il
segretario della Fiom torinese, Giorgio Airaudo, avverte che non è
mai successo in passato che l' industria metalmeccanica si sia
fermata in forma così massiccia e così a lungo come
purtroppo accadrà per fine anno descrive una situazione che è
ormai sotto gli occhi di tutti. Dall' inizio di dicembre e fino a
metà gennaio resteranno chiusi i cancelli della stragrande
maggioranza delle aziende del settore. E il fatto che questo fenomeno
accomuni parecchie aree europee complica ulteriormente le cose per la
ragione che tutto l' indotto dell' auto, da quando si è
diversificato affrancandosi dal capestro della monofornitura Fiat, ha
fatto propri i vantaggi di un mercato più vasto che però
oggi sconta sotto forma di contraccolpi contro i quali è
sempre più difficile creare una linea di difesa. Ecco perché
il peggio deve ancora arrivare mentre nessuno a Torino e dintorni
riesce a fare una previsione sul prossimo anno quando verosimilmente
la recessione entrerà nella fase più acuta. In realtà
l' ultimo trimestre del 2008 è già nero. Ma molte
aziende che nel primo semestre avevano lavorato per il magazzino in
vista di una ripresa che poi è svanita come neve al sole
possono ancora resistere. I primi tre mesi del 2009 saranno ancora
peggio: intanto fino a metà gennaio la produzione sarà
azzerata con massicce dosi di cassa integrazione che dilateranno
senza gioia le vacanze di Natale e Capodanno. E poiché la
«cassa» viene rinnovata ogni tredici settimane, le molte
aziende che l' hanno chiesta adesso potranno tornare a una parvenza
di normalità non prima della metà di marzo. Sempre che
ciò accada cosa sulla quale, al momento, nessuno è in
grado di scommettere. Dunque soltanto a fine marzo si potrà
sapere con un minimo di attendibilità se il saldo in meno del
20 per cento sarà il limite massimo. La Fiat ha posto questo
limite come scenario/simulazione entro il quale l' azienda è
in grado di difendersi. Ma siamo sicuri che non si andrà
oltre? Gli imprenditori torinesi, che in questi giorni stanno
cercando di leggere nella sfera di cristallo misteriosa della crisi,
sono anche loro convinti che, tutto sommato, fino a un 15-20 per
cento di caduta possono resistere. Oltre questa soglia il sistema non
reggerà. Per ora non vogliono neppure pensarci. Né sono
in grado di farlo perché nessuno sa che cosa potrà
riservare ancora la crisi e quando finirà. E mentre sono
affacciati sulla bocca di un pozzo di cui non riescono a vedere il
fondo guardano alle istituzioni locali, al governo di Roma e alle
autorità di Bruxelles sollecitando meccanismi di difesa che
faticano a prendere forma e sostanza. Nell' organizzazione di questa
«resistenza» e su come ripartire Torino potrebbe
diventare un punto importante di riferimento per l' intero sistema
industriale italiano. In realtà sinora si è continuato
a parlare genericamente di incentivi che, in una situazione normale,
potrebbero bastare così come sono bastati in passato. Ma
questa non è una situazione normale e allora sarebbe il caso
di pensare ad altro. Qualcosa sta emergendo in questi giorni nelle
discussioni sulla crisi che, non a caso, a Torino sono diventato il
pezzo d' obbligo della stagione. Ci sono in particolare due ipotesi
di lavoro che potrebbero rendere meno problematico il superamento
della crisi. Entrambe presuppongono il coraggio di rompere gli schemi
dell' intervento tampone che oggi non avrebbe neppure efficacia di
fronte alla violenza e alle dimensioni della crisi e cominciare a
percorrere strade inesplorate. Si dovrebbe, per esempio, avere l'
onestà di riconoscere che un punto dal quale partire,
superando le resistenze «ideologiche», è quello di
intervenire sulle buste paga che sono l' unica vera sorgente in grado
di alimentare la corrente della domanda. In assenza di questo si
possono immaginare anche sostegni alle imprese, dalla Fiat a tutto il
variegato mondo della metalmeccanica, ma servirebbero a infoltire i
già affollati piazzali di auto che nessuno avrebbe i soldi per
acquistare. Un' altra scelta innovativa e coraggiosa è quella
che, facendo di necessità virtù, sfrutta la crisi per
creare le basi di una ripartenza che sola può assicurare la
continuità del sistema industriale. Ciò è
possibile utilizzando gli aiuti per un salto tecnologico finalizzato
alla riconversione dell' industria dell' auto verso la produzione di
vetture a basso consumo, ecologiche e low cost. Perché, come
sostiene Airaudo con una efficace immagine, se è vero che è
finito il tempo delle cicale ed è cominciato quello delle
formiche, allora è bene pensare già alle nuove
propensioni e capacità di spesa delle formiche. All' estero
qualcosa del genere sta già avvenendo se è vero che in
Francia gli indiani stanno comprando vecchie fabbriche per
riconvertirle e produrre auto elettriche. Torino ha già in
piedi qualcosa del genere con il progetto Pininfarina-Bollorè.
E' un piccolo significativo varco da sfruttare per la risalita dall'
inferno.
(Repubblica, 22 novembre 2008)
(Repubblica, 22 novembre 2008)
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