29.01.2009

MIRAFIORI - Scioperi spontanei contro la crisi

La rabbia di Mirafiori è esplosa. È esplosa in lastroferratura, al montaggio. Come è accaduto spesso nella storia della grande fabbrica torinese, all’improvviso i lavoratori si sono fermati. Era nell’aria, ma l’imminente ulteriore settimana di cassa integrazione - da lunedì le Carrozzerie saranno di nuovo ferme - sembrava aver annichilito gli umori, smorzato le esuberanze. Invece no. Invece in 500 hanno percorso i reparti, solcato le officine, assediato le linee produttive. Si sono spinti fino al limitare della porta 2, quella classica dove sempre tutto accade, con i giacconi buttati sulle spalle, con i megafoni. Per due ore, dalle tre alle cinque, si sono fermati per dire: il governo sostenga l’auto. Lo slogan più efficace è di un delegato Fiom, Ugo Bolognesi: «Non ci faremo chiudere dai pochi spiccioli di Berlusconi».

Gli operai temono che gli stabilimenti «inchiodino», hanno paura come nel 2002. Allora l’avevano sfangata a prezzo di sacrifici, lotte, molti esuberi andati in mobilità e poi in pensione. Adesso il sentir dire dall’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne che sono a rischio 60 mila posti nel sistema auto li spaventa a morte. Arrivano in fabbrica alle due con nella testa le notizie sull’incontro tra i vertici del Lingotto e il governo della sera prima; si parla di 300 milioni di sostegno per l’auto italiana. Hanno avuto tempo - a differenza dei colleghi giunti a Mirafiori alle 6 e usciti di casa nella notte - di ragionarci. E si sono imbufaliti. Come nel 2002. L’obiettivo non è la Fiat. L’obiettivo è il governo. Maria Epifania ha 35 anni, in Carrozzeria ci sta da undici. Non ha dubbi: «Ma a che cosa servono 300 milioni? A niente, niente di niente».

E si aspetta di più: «Noi con la cassa integrazione prendiamo 750-800 euro al mese, i sacrifici li facciamo e allora il governo si svegli». Già, il governo. C’è una ruggine - al di là delle posizioni politiche che a Mirafiori come nella altre fabbriche non sono necessariamente a sinistra - con un governo che già nel 2002 non era stato sentito come amico. Allora erano insorti addirittura «vecchi» e storici delegati Fiom a difesa della famiglia Agnelli e dell’azienda; adesso la situazione non è così estrema, ma la diffidenza si sente. Gianfranco Currado è a Mirafiori dall’87 e lo dice chiaro: «Noi passiamo da una cassa a un’altra e il governo sta con le mani in mano mentre i governi del mondo intervengono. Vogliamo risposte e subito perchè non possiamo permettere che si perda il lavoro qui in Italia, qui a Torino senza combattere». E annuncia a se stesso e ai compagni: «Questo è solo l’inizio». Mentre le prime ombre della sera calano gli operai tornano nei reparti della fabbrica che produce, quando si lavora, 800 auto al giorno contro le mille giudicate soglia minima di equilibrio. Tornano alle linee lavoro con la paura nel cuore. La paura di restare soli.

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