07.11.2008

AIRAUDO - La crisi peggiore dal dopoguerra

Il dato ufficiale è fermo ancora al 31 ottobre. Ed è inquietante: in due mesi, solo in provincia di Torino, 208 aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione. Un provvedimento che ha colpito circa 20mila lavoratori, più del doppio di quelli coinvolti in tutto il resto dell’anno. Da gennaio ad agosto, infatti, le imprese a chiedere la cassa erano state 190, per “appena” 9mila lavoratori. «È la crisi peggiore di tutto il dopoguerra» ammette il segretario provinciale della Fiom, Giorgio Airaudo, leggendo le cifre che danno l’effettiva dimensione del dramma economico e sociale in corso.

Segretario Airaudo, sono numeri che si commentano da soli.

«Va anche peggio. Solo stamattina (ieri) abbiamo avuto i dati relativi all’inizio di novembre. In tre giorni ci sono state altre 79 richieste di cassa integrazione, di cui 45 di aziende associate all’Amma, 23 all’Api e 11 non associate. Aggiungendo queste, solo nel nostro settore i lavoratori coinvolti nella cassa integrazione sono 23-24 mila. Fra questi, 7mila del Gruppo Fiat».

Si ricorda in passato una situazione analoga?

«Non c’è mai stato un problema simile, almeno nel dopoguerra. È inquietante che gli imprenditori non sappiano quanto durerà. Si parla di 18-24 mesi, ma la paura è che la crisi non sia esplosa del tutto. In questi giorni due centri studi europei hanno calcolato che bisognerà aspettare il 2013 perché la produzione di automobili torni ai livelli del 2007. Solo l’anno prossimo si produrranno 2 milioni di auto in meno. Più in generale, non ne usciremo con lo stesso livello di consumi con cui siamo entrati».

A Torino la crisi è esplosa violenta, molto più che altrove.

«A Torino si è vista subito, perché c’è una concentrazione eccezionale del settore metalmeccanico e dell’indotto dell’autoveicolo. Ma anche in questo caso siamo un laboratorio, stiamo anticipando qualcosa che si estenderà al resto d’Italia».

Cosa la preoccupa in modo particolare?

«La grande incertezza che vedo nei lavoratori. E poi i precari, che vengono sempre più considerati come una naturale flessibilità e mandati a casa».

Su che terreno vi state battendo per tutelare i lavoratori in difficoltà?

«Questa crisi è eccezionale ed eccezionali devono essere le contromisure: sospendere i licenziamenti per due anni, estendere la cassa integrazione anche ai precari, garantire i prestiti bancari. Poi bisogna evitare di far chiudere le aziende, come siamo riusciti a fare con la Dayco».

Qual è, secondo lei, la via migliore per uscire da questa situazione?

«Aiutare gli investimenti, insistere sulla ricerca, aprire una discussione sui prodotti che portano innovazione. Ad esempio, è inammissibile non avere da noi un’azienda che produce celle fotovoltaiche».

Mercoledì si è insediato il comitato anti-crisi guidato dalla Regione. Che opinione si è fatto?

«Innanzitutto gli enti locali dovrebbero fare lobby fra loro e con il Governo, concordando 3-4 cose. Va bene salvare le banche e le imprese, ma occorre estendere la cassa integrazione ai precari, anche con una legge apposita. Tra l’altro, come forse a volte qualcuno non ricorda, il fondo è pagato dagli stessi lavoratori e le risorse già ci sono. Non occorrono soldi in più, basta estenderne l’utilizzo, altrimenti finisce che il conto lo paga Pantalone. O meglio, lo pagano i più deboli».

Ci sono delle colpe specifiche, da parte della politica e dei sindacati? Oppure la crisi sarebbe stata comunque così grave?

«Politica e sindacati devono fare due mestieri diversi. Prima che un sindacalista si butti in politica ci vuole qualche anno di “decantazione”. Io rivendico senza problemi di essere fazioso, di rappresentare una parte, che è quella dei lavoratori. Non posso passare immediatamente al ruolo di politico. Ma, allo stesso tempo, i politici tirano troppo la giacchetta ai sindacati».

Il caso Motorola. All’interno dell’azienda non c’erano rappresentanze sindacali.

«Noi inizialmente siamo andati dai dipendenti, prima di scoprire che avevano contratti del commercio e quindi non ci riguardavano come metalmeccanici. Bene, loro ci parlavano di nascosto, un po’ perché spaventati dall’azienda, un po’ perché si sentivano forti e non ritenevano il sindacato indispensabile. La colpa è anche di una certa campagna che c’è stata in passato, volta a far credere che i sindacati non servissero più. Ora si vedono i risultati, ma si vedono anche le debolezze sindacali: una crisi di rappresentanza non si supera buttandosi nelle braccia della politica, ma tornando nelle aziende».

Non si può però ridurre tutto a una questione fra politica e sindacati.

«Certo che no, per troppi anni si è detto che Torino poteva fare a meno della fabbriche. Noi le abbiamo difese e venivamo etichettati come dinosauri comunisti. È chiaro anche che il futuro delle fabbriche dovrà essere diverso, non potrà essere il motore a scoppio, per esempio. Ma a volte il problema sono gli stessi industriali».

Che cosa intende?

«Sono stupito che l’Unione Industriale batta cassa con le banche e chieda contributi pubblici e poi faccia fatica ad accettare i precari come lavoratori a tutti gli effetti e non solo come sinonimo di flessibilità. I funzionari dell’Unione Industriale devono capire che questa crisi cambierà l’agenda di tutti».
(Torino Cronaca, 7 novembre 2008)

Airaudo

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