14.07.2010
LETTERA APERTA A SERGIO MARCHIONNE
Egregio Dott. Marchionne Abbiamo ricevuto e letto con attenzione la lettera che ha indirizzato a tutti i dipendenti del Gruppo e stimolati dalle riflessioni in essa contenute, abbiamo piacere, con altrettanta franchezza, di mettere in evidenza il nostro punto di vista. Anche noi, come ha tenuto a precisare Lei in un passaggio sulla sua vita personale, siamo donne e uomini che hanno vissuto direttamente o indirettamente l’immigrazione e vivono oggi esperienze che permettono di conoscere bene la realtà del lavoro, il mondo, il tempo in cui viviamo e operiamo. Ovviamente le angolazioni con cui si vedono e si interpretano gli eventi non possono che essere diversi per ovvie ragioni di vissuto personale, tipologia di lavoro e percorso di vita, ma in premessa non possono che essere entrambe valide. Anche noi siamo consapevoli di attraversare una crisi senza precedenti e una fase molto delicata che influenzerà il nostro futuro. L’assenza di una politica industriale in Italia – e nei confronti dell’ autoveicolo – manca almeno dalla seconda metà degli anni 60, con grandi responsabilità di chi si è succeduto nel governo del Paese e più recentemente ha illuso gli italiani che si poteva crescere senza industria. Purtroppo constatiamo che il “conto” di queste mancate politiche viene sempre pagato dai lavoratori. Ed per questo, che pur apprezzando gli investimenti previsti dal piano industriale, non comprendiamo come e perché solo i lavoratori debbano pagarne la realizzazione, con governo e politica che al massimo fanno i tifosi per i propri fini. Noi, che dopo 25 anni di lavoro in Fiat, spesso con operazioni ripetute ogni minuto, facendo i turni, non raggiungiamo i 1200 euro al mese, non possiamo credere che non vi siano alternative al peggioramento della nostra vita e alla nostra condizione di lavoro. Spesso facciamo “salti mortali” per raggiungere la fine del mese in un paese in cui solo i lavoratori pagano sempre tutte le tasse. Alla luce di ciò pensiamo di essere “esperti” di competitività: quella dei nostri bilanci familiari. Nel 2004, quando lei da poco era in Fiat, dichiarò che il problema della competitività dell’auto non dipendeva dal costo del lavoro, che valeva circa un 8% per unità di prodotto. Oggi ci é difficile credere che, improvvisamente, tutto dipenda solo ed esclusivamente dalla nostra disponibilità ad adeguarci a condizioni di lavoro che, a nostro avviso, ci faranno fare un salto indietro nel tempo. Non abbiamo quindi una visione personalistica delle cose e tantomeno semplicistica, ci sforziamo al contrario di tenere insieme il tutto. È fin troppo noto come i lavoratori siano stati fondamentali, nel corso di anni difficili, per fare in modo che la Fiat continuasse a rimanere sul mercato. Abbiamo fatto, facciamo e faremo molti sacrifici con la Cassa Integrazione. Ed è difficile pensare di farne altri quando l’azienda distribuisce dividendi ai soci per diverse centinaia di milioni di Euro e incrementa i compensi dei top manager da un anno all’altro tra il 39% e il 53%. Parallelamente sul nostro premio di risultato incombono voci, non smentite, che potrebbe essere nullo o di una cifra pressoché simbolica. Noi vogliamo preservare i nostri posti di lavoro, salvare i nostri redditi e guardare al futuro con più serenità per le nostre famiglie. Non si tratta di contrapporre lavoratori e imprenditori, ma di prendere atto delle differenti condizioni e delle diverse responsabilità collaborando per il futuro con condivisione e non per coercizione. E importane mettersi in gioco, come dice Lei, se si tiene veramente alle persone a cui ci si rivolge, ma è altrettanto importante riconoscersi reciprocamente e non sarà certo con i licenziamenti di lavoratori e delegati della Fiom-Cgil o di altri sindacati che questo avverrà. Per questo la invitiamo a venire in mezzo a noi per confrontarci e approfondire i temi trattati, senza filtri e finzioni comunicative. Lavoratrici e lavoratori FIOM-CGILDelegate e delegati FIOM-CGIL Mirafiori