22.07.2008

Commissari Bertone al ministero

Per Bertone spunta un nuovo acquirente ma il nodo resta sempre lo stesso: così com'è adesso la carrozzeria fondata da Nuccio Bertone non può essere venduta. O meglio: nessuno si azzarda ad acquistare lo stabilimento di corso Allamano senza poter contare sul marchio e sull'area immobiliare. Tutta colpa dello “spin off” deciso da Lilli Bertone e dagli altri famigliari per mettere al sicuro i gioielli del gruppo da un'eventuale crisi industriale. Ma adesso quell'operazione si sta rivelando il vero “cappio al collo” sul futuro innanzitutto degli oltre 1200 dipendenti del gruppo di Gurgliasco: se non riesce ad avere il mandato dalla famiglia – e dunque da Lilli, dalle due figli e dai Gracco, l'altro ramo dei Bertone – per vendere l'intero pacchetto il rischio del fallimento diventa più vicino. Oggi i tre commissari che da mesi lavorano per trovare una soluzione, volano a Roma, al ministero dello Sviluppo economico. Presenteranno il piano di cessione della Bertone, chiedendo al ministro Scajola di appoggiarlo. Un atto che avrebbe un forte effetto di persuasione verso i Bertone e i Gracco perché diano il mandato alla cessione unitaria. Con la garanzia che i proventi finiranno alle due famiglie. Finora, ogni tentativo di pressione da parte dei commissari si è rivelato inutile.
Neanche la presenza di cinque offerte ha convinto Lilli Bertone in primi a cambiare idea. Eppure anche l'ultima multinazionale che ha bussato alle porte dei commissari giovedì sera, attreverso gli emissari di un'importante banca italiana incaricata come advisor, ha posto come condizione quella di poter rilevare tutto il gruppo. Lo stesso hanno chiesto le due società cinesi – interessate ad avere una testa di ponte produttiva in Europa all'altezza e Bertone lo è, visto che per esempio il reparto verniciatura è considerato ancora oggi il migliore d'Europa – e pure i due potenziali acquirenti italiani. La multinazionale avrebbe anche prospettato alcuni numeri: nella ripresa produttiva dello stabilimento di corso Allamano verrebbero occupati circa 700 degli attuali 1.263 dipendenti in cassa integrazione. E poi resta il nodo Fiat. Al di là dell'impegno di Marchionne con gli enti locali ad assorbire alcune centinaia di lavoratori della carrozzeria (ma si era in un'altra situazione di mercato, non c'era la prospettiva della cassa a Mirafiori) c'è chi non ha perso le speranze che il Lingotto diventi alla fine una specie di Cavaliere bianco. Possibile? In via Nizza, per ora, lo escludono. Né preoccuperebbe più di tanto l'ad l'arrivo dei cinesi con uno stabilimento a Torino.
Ma prima di tutto serve arrivare a una quadratura del cerchio e cioè a rimettere sotto lo stesso tetto tutte le società del gruppo. Stefano Ambrosini, il commissario che più di tutti si è speso in questi mesi per trovare una soluzione che innanzitutto garantisca i lavoratori – come peraltro sollecitato anche dagli locali, a cominciare dagli assessori regionali Bairati e Migliasso – non vuole entrare nel merito della questione, si limita a dire poche parole: “Serve uno scatto di saggezza e lungimiranza”. Né aggiungono altre parole gli altri due commissari: Giuseppe Perlo, ex top manager Fiat, e Vincenzo Nicastro, avvocato. Per tutti e tre parla il programma di cessione dell'azienda che presentano oggi al ministero. Gli acquirenti ci sono, resta un punto interrogativo sul piano giuridico.
Anche per Giorgio Airaudo, segretario della Fiom, quello dello spin off è un handicap in più sulla strada di una soluzione: “Senza l'appoggio del ministero al piano di dimissione dei commissari aiuterebbe. In questi mesi abbiamo visto però troppi mosconi avvicinarsi attorno alla Bertone. Avventurieri di cui gli operai non hanno proprio bisogno. I dipendenti chiedono certezze perché il tempo stringe. E allora accanto a una mossa della famiglia che consenta di creare un unico pacchetto di vendita, chiedo che chi è veramente interessato ad acquisire la storica carrozzeria dimostri di avere i soldi e un piano industriale”.
p. p. l.

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